Luisa
Quella domenica di fine settembre pioveva. Luisa sapeva che il giorno dopo a scuola sarebbe stato orribile, ma non riusciva a trovare una soluzione. La professoressa di musica due giorni prima le aveva detto che il lunedì successivo era l’ultimo giorno per presentarsi con il flauto in classe, per suonare insieme ai suoi compagni, poi avrebbe contattato i suoi genitori.
Quel venerdì pomeriggio Luisa era pensierosa: raccontare a papà cosa stava accadendo con l’insegnante di musica, costringendolo a parlare con la professoressa e raccontarle della loro situazione?
Oppure lasciare che l’insegnante chiamasse il padre dopo averla sgridata davanti a tutta la classe?
Un dilemma troppo complesso per una ragazzina di 11 anni.
Era bloccata, il padre si sarebbe vergognato in ogni caso e lei non lo avrebbe sopportato.
Da quando sua madre era andata via di casa, senza lasciare alcuna traccia di sé, il padre lavorava dalla mattina presto alla sera tardi. Pagava l’affitto, le bollette e l’abbonamento dell’autobus alla figlia, ma non tutte le sere c’era da mangiare in tavola. Alcune volte, mangiavano frutta e pane, troppo spesso, pasta in bianco. Ma a Luisa non importava, voleva stare con il suo papà e basta. Consolarlo per non farlo mai sentire solo, ascoltarlo mentre le raccontava dei suoi problemi a lavoro, asciugare le sue lacrime di stanchezza e tristezza per la moglie che lo aveva lasciato sei mesi prima. Non poteva essere lei la causa di un altro dispiacere per il padre, la sua fragile psiche non lo avrebbe retto.
Il lunedì mattina si svegliò all’alba: non riusciva a dormire così decise che si sarebbe incamminata a piedi verso la scuola. Il padre le diceva sempre che non esiste problema che una lunga passeggiata non possa risolvere. Pioveva a dirotto però, camminando fino a scuola si sarebbe inzuppata per bene.
Perciò prese l’autobus.
Il tragitto era lungo quindi si sedette. Più o meno a quattro fermate dalla sua salì un ragazzo poco più grande di lei, forse faceva la terza media. Era diverso da lei: le sue scarpe erano quelle che aveva visto in televisione il giorno prima e aveva alle orecchie quelle cuffiette senza filo che lei tanto desiderava. Si guardarono un istante, l’autobus si riempì all’improvviso e lui le finì quasi addosso. Luisa si spaventò, non era abituata a stare tanto vicina ad un ragazzo. Abbassò gli occhi e quando risollevò il viso lui era ancora lì, ma di spalle: dal suo zaino indossato su una sola spalla e chiuso con la classica leggerezza dei ragazzi, spuntava un flauto.
Accadde tutto in un attimo.
Luisa non si fermò nemmeno a considerare le opzioni, lo aveva fatto per tutto il week-end.
Cinque secondi dopo le porte dell’autobus si aprirono e lei sgattaiolò di corsa fuori. Aveva risolto il suo problema senza danneggiare nessuno: era salva dal rimprovero dell’insegnante, suo padre non avrebbe mai saputo nulla e quel ragazzo sicuramente avrebbe potuto permettersi un nuovo flauto.
Un formicolio le pervadeva tutto il corpo e si sentiva così piena di energie da pensare di poter risolvere tutti i problemi della sua famiglia.
E quando a 11 anni trovi una così perfetta soluzione ai tuoi problemi, senti che il mondo è tuo.
È tuo fin quando, 8 anni dopo, l’unica cosa di cui puoi rivendicare il possesso sono le sigarette che hai ricevuto dalla tua compagna di cella in una domenica piovosa di fine settembre.
